Rosso, verde, blu e violetto, arancione e
indaco. E poi giallo. Tanto giallo. Sono i colori dell’arcobaleno. Sono i
colori di PhEST – See Beyond the Sea, il festival internazionale di fotografia
e arte che per il terzo anno consecutivo ha eletto Monopoli come sua regina per
ospitare un melting pot unico di arte.

Per due mesi intensissimi la cittadina sul mare pugliese
scelta dagli organizzatori si trasformerà in una galleria d’arte a cielo aperto
contaminata dalla fotografia e dai messaggi che ciascun lavoro selezionato
vuole trasmettere. Dal 6 settembre al 4 novembre cittadini e turisti,
insegnanti e alunni che ricominciano la scuola, appassionati di fotografia,
professionisti del mestiere e tutti quelli che vorranno dedicare qualche ora
del loro tempo a questo evento speciale potranno ammirare le ventuno mostre che,
contemporaneamente, abiteranno spazi e luoghi al chiuso e all’aperto nel cuore
di Monopoli.

Dopo il successo delle prime due edizioni con oltre 28mila
visitatori, circa 7mila like
sulla pagina Facebook ufficiale, PhEST si arricchisce quest’anno di nuove
location e prestigiose collaborazioni. Oltre al Porto Vecchio, alla Muraglia di
Porta Vecchia, alle Mura del Castello e il Centro Storico, le esposizioni
saranno di casa a Palazzo Palmieri, Castello Carlo V, Chiesa Santi Pietro e Paolo e
Palazzo Martinelli.
Il programmaPartiamo dal progetto speciale sul territorio dedicato ai porti che sarà
esposto sulle mura del Castello. Tredici le fotografie che compongono “On Board”
commissionato da PhEST al fotografo fiorentino Edoardo Delille. Gli scatti sono
stati realizzati durante la residenza artistica del fotografo a Palazzo
Fizzarotti nei porti di Bari e Brindisi con l’obiettivo di restituire con
queste foto l’idea di quello che i porti sono stati, sono e saranno sempre:
luoghi di transito, luoghi in cui tutto si mescola, luoghi in cui
meravigliosamente tutto può accadere. Da qui si accede all’interno del Castello,
dove saranno allestite le mostre di Pino Pascali “Guardare il mare”, a cura di
Antonio Frugis e Roberto Lacarbonara, in collaborazione con Fondazione Museo Pino
Pascali di Polignano a Mare, che attraverso una selezione di scatti realizzati
da Pino Pascali nel 1965 documentano lo studio che l’artista compie tra Napoli, Ischia e Capri
Casamicciola, utilizzando per la prima volta il mezzo fotografico al fine di
indagare il paesaggio portuale e urbano; la mostra anticipa la grande e
inedita retrospettiva fotografica dedicata all’artista che la Fondazione
ospiterà nei propri spazi tra ottobre e novembre 2018. Sempre all’interno del
Castello sarà allestita la mostra di Kolë Idromeno “Le due strade di Idromeno” a
cura di Adrian Paci arrivate dall’archivio del Museo Marubi a Scutari (Albania)
che creano un dialogo con uno dei suoi dipinti più conosciuti Dy Rrugët (Le due
strade), con il quale dialogano.
Si passa quindi alla Muraglia di Porta Vecchia per la mostra in esterno della
leccese Alessia Rollo “Fata Morgana”: un racconto tra realtà e immaginazione
che cerca di creare delle visioni alternative alla tematica migratoria e di
superare gli stereotipi visivi trasmessi dalle immagini di cronaca, evocando in
maniera originale il mito illusorio di un’Europa diventata miraggio e i
conseguenti fenomeni di sfruttamento e lavoro nero. Tra il Porto Vecchio e il centro
storico sono invece già apparse, nei giorni scorsi, incollate con acqua e
farina, sulle mura dei palazzi del centro storico, delle gigantografie di
uomini, donne, bambini, intere famiglie. Si tratta degli scatti raccolti in
questi mesi dall’associazione PhEST, impegnata nel recupero delle fotografie
amatoriali e familiari nella città di Monopoli e della Puglia, per essere
condivise come patrimonio collettivo per ALBUM – Archivio di Famiglia, di
cui la mostra #WEWEREINPUGLIA rappresenta il primo esito della raccolta.
Un’operazione di street art a cura di Leo & Pipo, duo di artisti francesi
che, lavorando ovunque nel mondo, creano una osmosi tra passato e presente, riportando
alla memoria ricordi di chi eravamo per capire meglio chi siamo e chi dobbiamo
essere. ALBUM – Archivio di Famiglia, secondo progetto speciale di PhEST per il
2018, è anche una selezione dall’Archivio Brigida, storico studio artistico
fotografico attivo dal 1894 al 1973 a Monopoli. La mostra, aperta al pubblico
gratuitamente, espone riproduzioni di fotografie d’epoca provenienti dall’Archivio
Brigida visibili a Palazzo Martinelli. Per il periodo del Festival la sede
della mostra si propone anche come sportello permanente, attrezzato con uno
scanner, per continuare la raccolta e la digitalizzazione immediata dei
materiali fotografici d’epoca raccolti sul posto.

Ci si sposta quindi nella chiesa dei Santi Pietro e Paolo
per Gregor Sailer con il suo “The Potemkin Village” che, rievocando la leggenda
del generale russo, mostra intere strade mascherate con la riproduzione grafica
di reali architetture. Lo spettatore ha così accesso a un mondo di falsi e
scenografie che chiamano in causa le assurde aberrazioni della nostra società
contemporanea. Qui si trova “Costruire, 2018”, installazione ambientale in
divenire a tecnica mista di Marco Neri. Un corpo scultoreo che, nella propria
evoluzione, allude alla progressiva urbanizzazione del paesaggio reale. È il
primo dei quattro interventi artistici site specific in mostra a PhEST e
organizzati in collaborazione con CRAC PUGLIA | Centro Ricerca Arte Contemporanea
di Taranto, con la curatela di Roberto Lacarbonara.
Si arriva quindi a Palazzo Palmieri, dove ci sarà un concentrato di ben dieci
mostre selezionate da Troilo e Rinaldo e tre realizzate in collaborazione con
PhEST. Iniziamo da queste ultime che si trovano al pianterreno. Nella stanza
sulla sinistra ci sarà “Approdi” di F.project – centro di formazione e ricerca
sulla fotografia e l’immagine contemporanea a cura di Roberta Fiorito e Maria
Pansini con l’allestimento video a cura di Nico Murri. Una ricerca visiva a più
mani che ha come focus il Porto di Bari: quattro chilometri di costa che vanno
dal vecchio molo San Nicola, all’ingresso del centro storico, al porto nuovo.
Una infrastruttura marittima d’eccellenza che ha da sempre fatto della città un
ponte fondamentale verso Oriente. Ciascuno dei giovani autori, sia in maniera
collettiva che personale, ha raccontato una sfaccettatura di un luogo fatto di
grandi spazi, angoli più remoti – come nel caso del vecchio acquario – e poi i
pescatori della darsena, i turisti, i pendolari da est a ovest, per restituirne
un affresco contemporaneo e sfaccettato di un luogo cardine per la città. “Approdi”
è stato realizzato da un gruppo di studenti del secondo anno coordinati dalla
docente e fotografa Maria Pansini e dal fotografo dell’Agenzia VII Stefano De
Luigi.

Sempre al piano terra del Palazzo si trovano “Call of
Beauty”, un progetto fotografico di Nicolò Tauro per PhEST su idea della urban
spa Beautique di Bari e Mila Uffici Stampa in collaborazione con la cooperativa
Auxilium che gestisce il Cara di Palese e la rete Sprar di Bitonto. In mostra
ritratti di donne. Madri, mogli, figlie, tutte richiedenti asilo politico, più
una mediatrice culturale, che rappresentano la babele della bellezza. Donne che
hanno sfidato il mare per raggiungere la nostra terra portando con sé non solo
gli orrori che le hanno costrette a scappare, ma anche le proprie tradizioni.
Un passato difficile si trasforma in storie di rinascita attraverso la
riscoperta della propria femminilità. E infine “Puglia delle meraviglie”, una
mostra di etichette di artisti realizzate con illustrazioni di Chiara Dattola,
Valeria Petrone, Giordano Poloni e Lorenzo Tomacelli per il rosé Calafuria di Tormaresca.
Un modo creativo per raccontare un vino è raccontare la terra da cui nasce con
immagini talvolta divertenti, talvolta poetiche, sicuramente tutte unite dalla
voglia di rappresentare la Puglia.
Si sale quindi ai due piani superiori di Palazzo Palmieri per le dieci mostre cuore
dell’esposizione. Passeggiando per le sale del primo piano e del piano nobile
dello storico palazzo monopolitano, i visitatori incontreranno: Patrick Willocq
con il suo “My Story is a Story of Hope”: la storia umana di due comunità, una
francese e l’altra di richiedenti asilo, costrette, loro malgrado, a convivere.
950 abitanti locali e 50 rifugiati vivono insieme a Saint-Martory in Francia.
Questa convivenza imposta dal governo nell’estate del 2016 ha ispirato Willocq
a creare questo ambizioso progetto artistico che, con un profondo significato
politico, mostra come gli abitanti accolgono o respingono i rifugiati. Con i
protagonisti come attori di sé stessi, viene offerto al pubblico un messaggio
che va oltre gli stereotipi trasmessi dai mass media. Il progetto “Hotel Marinum”:
di Alex Majoli ripercorre invece i porti del mondo. Porto inteso come luogo di
transizione, come momento accaduto, come vita che scorre. È lo spazio di chi
vive di fronte al mare, sempre pronto a partire, a scappare. “Hotel Marinum” è
uno spazio di passaggio, di incontri, di incroci, è un porto che assomiglia a se
stesso e a tutti gli altri porti del mondo. Non ha un nome, non ha una precisa
localizzazione, se non quella di trovarsi di fronte al mare. La pluripremiata
artista inglese Mandy Barker con “Soup”, da sempre interessata all’ambiente e
alle dinamiche globali che ne causano il deterioramento, realizza serie
fotografiche concentrate sui rifiuti plastici che soffocano gli oceani del
mondo e mettono in grave pericolo l’ecosistema marino. A PhEst porta un progetto
fotografico che include immagini esteticamente attraenti ma profondamente
inquietanti una volta messa a fuoco la tematica. La sua è una denuncia contro
l’inquinamento attraverso queste composizioni visive realizzate con detriti di
materiale plastico di uso comune disperso negli oceani e raccolto in varie
spiagge del mondo. La serie “X-Ray Vision vs. Invisibility” di Noelle Mason è
un progetto sugli effetti fenomenologici delle tecnologie visive nella percezione
dei migranti clandestini. La serie trasforma in oggetti le immagini fatte a
scopo di sorveglianza al confine USA/Messico, le decontestualizza, rendendole opere
d’arte. È un pugno nello stomaco che vuole far riflettere il visitatore sulle
dinamiche politiche e sociali di stampo neocoloniale tuttora esistenti. Si
prosegue ancora con Federico Winer e la sua “Ultradistancia”: una ricerca in
cui l’artista argentino prende il via dalla fascinazione per le mappe,
rivelatrici della curiosità umana verso il mondo. A partire da immagini
satellitari di Google Earth, Winer crea dei tableaux in cui forme geometriche e
colori portano l’osservatore fuori dal mondo e poi di nuovo all’interno. Il
mouse è il pennello attraverso il quale l’artista seleziona e crea un
paesaggio, una Geografia Estetica che ci affascina per la sua bellezza e
immensità, e allo stesso tempo ci riporta a una dimensione umana,
riconoscibile, nostra. Che ci fa vedere il mondo con occhi diversi. Giro di boa
con Davide Monteleone e il suo “A Modern Odyssey”, progetto realizzato durante
una traversata a bordo della nave da trasporto Nordic Odyssey, che trasportava
70.000 tonnellate di ferro grezzo dalla città portuale russa Murmansk. Un
viaggio dentro a sé stessi che ci porta a riflettere sul senso del viaggio e
del desiderio di viaggiare. Quell’inquietudine così ben descritta da Fernando
Pessoa che, dalla sua nativa Lisbona, ha raggiunto tutte le mete possibili
senza mai aver fatto un viaggio.

Il Collettivo Azimut, costituito da artisti che ormai da
tre anni indagano la questione della migrazione dei profughi mediorientali,
nato sotto l’egida di Fondazione Fotografia Moderna, presenta a PhEST il suo
lavoro di ricerca attraverso l’installazione “Today, tomorrow and the day after
tomorrow” (2018) e il video a tre canali “Untitled” (2016).

Il giro a Palazzo Palmieri si chiude con le ultime tre
installazioni di arte contemporanea in collaborazione con Crac Puglia. Sono “Dimore
2011 – 2018” dell’artista barese Francesco Schiavulli, lavoro che definisce
l’unità minima di esistenza e lo spazio di movimento di uomini privati della propria
libertà, come i migranti che cercano di ridefinire la propria identità a
partire dalla ricerca di un luogo di vita, di una “dimora”. L’opera di Francesco
Strabone “Mai, 2018” si compone di una imbarcazione sulla quale l’artista
brindisino depone un cumulo di ossa scolpite in gesso e argilla alludendo ai
tragici eventi migratori in forma votiva. La sala che ospita il relitto diviene
luogo di meditazione e mistero. E ancora “Gradi di vergogna, 2018” di Dario Agrimi: le recenti
vicende migratorie nel Mediterraneo sono ricordate dalle otto vasche metalliche
piene di olio nero che rimandano alla fredda serialità del conteggio dei corpi
ritrovati in mare e dei feretri disposti di fronte allo sguardo impassibile
dell’osservatore.