Sono sei i
minori stranieri non accompagnati o neo-maggiorenni accolti in famiglia
nell’ambito del progetto “Famiglie senza confini”, avviato dall’assessorato al
Welfare in collaborazione con il Tribunale per i minorenni, il garante
regionale dei diritti dell’infanzia e dell’adolescenza e la facoltà di Scienze
Politiche dell’Università “Aldo Moro” per offrire a questi ragazzi, fuggiti
dalle loro terre senza la guida dei genitori e in assenza di un tutore legale,
la possibilità di vivere in un contesto familiare che possa aiutarli a guardare
con maggior fiducia al futuro.

Le attività,
dopo un’indagine accurata sulla metodologia da adottare, vista l’esiguità di
esperienze simili sul territorio europeo, sono partite nell’autunno del 2018
prevedendo in fase di avvio una formazione ad hoc curata da due tecnici
dell’assessorato al Welfare, un’assistente sociale e lo psicologo dell’ufficio
Immigrazion della Coop Gea, con cinque incontri della durata di 2 ore ciascuno.
A gennaio si sono tenuti i primi colloqui di conoscenza delle coppie e dei
single interessati all’accoglienza, cui è seguita la visita a domicilio dei
referenti del progetto. A febbraio, invece, si sono svolti gli incontri con i
responsabili delle strutture di accoglienza dei giovani migranti per la
presentazione del progetto e la raccolta successiva delle adesioni da parte dei
ragazzi attraverso colloqui individuali. A seguire si è conclusa la fase di
conoscenza del primo gruppo di sedici ragazzi, dei quali sei minorenni, cinque
neomaggiorenni e quattro maggiorenni di età tra i 19 e i 20 anni

“Dopo mesi di
lavoro e di incontri, di ascolto e di valutazione delle motivazioni, delle
disponibilità e dei desideri delle persone coinvolte, sono partite le prime
esperienza di accoglienza in famiglia di minori stranieri non accompagnati –
commenta l’assessora al Welfare Francesca
Bottalico -. Parliamo di giovanissimi, soprattutto ragazzi africani, che
hanno dovuto affrontare in solitudine esperienze difficili, spesso traumatiche,
durante la fuga o la migrazione e che hanno bisogno più che mai di riferimenti
affettivi ed educativi anziché di strutture istituzionali per elaborare il
dolore e riuscire ad andare avanti. Le famiglie che hanno scelto di accoglierli
sono coppie, eterosessuali e omosessuali, e single fortemente motivati a
intraprendere un percorso inevitabilmente 
complesso ma ricco di amore e condivisione. Da qualche settimana le
famiglie e i ragazzi, che hanno avuto modo di incontrarsi e di “scegliersi” nei
mesi passati, hanno iniziato questa convivenza secondo un progetto
personalizzato che ha tenuto conto dei tempi, dei bisogni e delle aspettative
di ciascuno. Ogni esperienza sarà comunque seguita nei suoi sviluppi
dall’equipe di progetto  attraverso
incontri di individuali e congiunti con i ragazzi, le famiglie e gli operatori,
e nell’ambito di gruppi di incontro dedicati a specifici temi per i quali è
stato espresso un bisogno di approfondimento. Sono convinta che queste prime
esperienze daranno coraggio a molte altre persone che credono che offrire una
possibilità, aprire il proprio cuore e la propria casa a un ragazzo o una
ragazza già segnati dal dolore possa essere un percorso di cura e di vita per
tutti. Questo percorso, per il quale stiamo ricevendo richieste non solo dalla
città di Bari ma da diversi luoghi in tutta Italia, si affianca all’esperienza
di affido che da tanti anni portiamo avanti come città di Bari e che nasce
dall’esperienza realizzata diversi anni fa con l’accoglienza in famiglia di
giovani adulti migranti in stato di vulnerabilità. “Famiglie senza confini” è
uno dei progetti sperimentali che abbiamo avviato in questi anni insieme ad una
serie di programmi come i progetti Sprar, gli sportelli di orientamento socio-sanitario,
le Case di comunità e la Casa delle culture, i progetti di avvio al lavoro, la Banca
del tempo interculturale, le biblioteche interculturali e, ancora, l’inserimento
di mediatori interculturali negli uffici e nei servizi del Welfare, perché
crediamo sia importante offrire servizi e opportunità accessibili a tutti e a
tutte, con l’obiettivo di una creare città il più possibile inclusiva, promuovendo
servizi aperti che favoriscano incontro ed inclusione piuttosto che servizi
esclusivi”.

Accanto alle
sei esperienze già in corso ci sono altri tre nuclei o single che hanno
completato il percorso di formazione ma hanno chiesto, per ragioni personali
momentanee , di posticipare l’avvio dell’accoglienza.