Ha esordito nel 2003 a Cannes con “L’isola”,
film che ha avuto grande successo soprattutto in Francia e nei paesi dell’America
Latina. Arriva al Bifest 2019 con “Sembra mio figlio”, una storia che ha come
protagonista un giovane afgano sfuggito alle persecuzioni e sbarcato in Italia.
Costanza Quatriglio, regista e documentarista di origini siciliane, torna sul
grande schermo per raccontare la storia di un giovane che va alla ricerca delle
proprie radici.

Ismail, interpretato da Basir Ahang,
ritiene di aver finalmente ritrovato un contatto con la propria madre insiste
per vederla, nonostante lei neghi tutto. Di fronte alle difficoltà, decide di
recarsi in Pakistan di persona per parlarle.

“Questa storia nasce dall’incontro
che ho fatto con una persona nel 2005 – spiega la regista – quando ho girato un
documentario sui minori migranti. Non è una storia che nasce da un’attenzione
recente alla questione dello sradicamento delle persone che arrivano in Italia
e scappano dalla guerra, questa è una passione che coltivo da tantissimi anni,
ho seguito le esistenze di persone che mi hanno ispirato la trama di questo
film”.

Raccontare una storia che ha come
protagonista un giovane migrante non è mai semplice, soprattutto in un periodo
storico dove la propaganda politica sta alimentando la paura del diverso: “È sempre
stato molto difficile parlare delle persone che definiamo migranti o rifugiati –
continua Costanza Quatriglio -. Il film-documentario che ho realizzato sui
minori migranti nel 2006 ha fatto il giro del mondo, ma all’epoca nessuno era
interessato a conoscere le sorti dei minori stranieri non accompagnati. All’epoca,
nelle note di regia del pressbook del film, ho scritto che quello era un film
sul futuro del nostro paese. Le condizioni mutano, la propaganda muta, le
urgenze sono finte. La questione è pensare che di fronte a noi o accanto a noi
non ci sono numeri, ma persone. Ogni essere umano ha la sua storia, i suoi
desideri e i suoi bisogni. Girare questo film può sembrare difficile ma in
realtà è molto semplice: basta pensare che siamo tutti quanti dello stesso
mondo”.